L'omaggio della Poetessa Ada Negri a Madre Cabrini
L'omaggio della Poetessa Ada Negri a Madre Cabrini
La poetessa lodigiana Ada Negri si è recata più volte a Sant'Angelo Lodigiano per far visita alla casa natale della Madre Cabrini.
Nella sua raccolta di prose di memoria "Erba sul sagrato" presenta il proprio reverente omaggio alla Santa.
Riportiamo alcuni stralci di queste toccanti pagine:
«Cielo senza nubi, sole senz'ombre, campi nudi dalle zolle lucenti smosse dagli aratri che preparano la semina del granturco: file di pioppi spogli eppur biondi nel sole, come altissime spighe. Il color fulvo che ravviva ogni cosa ha per solo contrasto il verde intenso del frumento alto una spanna, e t'azzurro del cielo; ma brividi d'oro corrono anche nell'azzurro e nel verde. Promessa di primavera: gioia e pace nella mia terra, oggi ch'io vado a salutare Madre Cabrini nella casa dove nacque in Sant'Angelo Lodigiano.
La mia terra? È superbia chiamarla così. Io non sono altro che una figlia della terra di Madre Cabrini. Se pur qualcosa avessi fatto di bene, men che nulla sarebbe in confronto all'ultima delle sue Missionarie.
Nella casa natia Madre Cabrini non passò che l'infanzia e la prima giovinezza: il tempo della segreta, quasi inconsapevole formazione spirituale. Poi partì per il suo immenso destino. Ma qualcosa di lei bimba e fanciulla io dovrò pur ritrovare fra quelle vecchie muraglie.
Mi vengono incontro, nel diffuso oro dell'aria, la mole potente della Rocca di Regina Visconti Della Scala - mattone lombardo del più bel rosso acceso - e il campanile della cattedrale alto sui tetti del borgo.
La via della Madre è subito infilata: ecco la semplice casa, tutto il giorno aperta ai fedeli. Una porta poco più larga d'un uscio, quattro finestre. Nel mezzo della facciata, la lapide; dipinta sotto la grondaia, una schiera volante di colombe bianche.
Splende alla memoria il segno annunziatore apparso il quindici luglio del 1850: le bianche colombe calate a stormo sui fasci di spighe pronti nell'aia per la trebbiatura che allora si faceva coi correggiati (...).
Nasce in quel mentre Francesca; e nasce di sette mesi.
Qui ad accogliermi visibile a me sola dovrebbe essere la piccola settimina ulltima di tredici figli, la gracilissima creatura che nessuno credeva atta a vivere: la ragazzetta di poche parole che vestiva da monache le sue bambole di stoppa e si rifugiava in chiesa nell'ore in cui era più deserta, per pregare con più chiuso raccoglimento; che s'incantava a riempir di viole mammole barchette di carta, per vararle in una roggia.
Non ignoro, pertanto, che la casa, nell'interno, è tutta mutata dal tempo in cui ella coi parenti ci visse.
L'Ordine delle Missionarie del Sacro Cuore (le presaghe violette de' suoi giorni infantili) la comprò per riverenza verso la fondatrice, nel 1929 e un sacerdote di Sant' Angelo, don Nicola De Martino, interamente offerto al culto della Beata, nelle stanze ove pochi mobili rimangono dell'epoca di Agostino e di Stella ha raccolto con sobria finezza di scelta, le cose essenziali che possono rappresentare una sintesi della sovrumana esistenza di Madre Cabrini.
Sono dunque preparata a non ritrovar qui dentro nulla o quasi nulla che risusciti ai miei occhi la bambina, la giovinetta che cerco; e nemmeno la maestra elementare che faceva ogni giorno la spola fra la casa di Sant'Angelo e la scuoletta di Vidardo (...).
Dal muro di destra della stanza d'ingresso (una volta, la cucina) tra fiori freschi e vasi di palme, la fotografia quasi grande al vero di Madre Cabrini ne' suoi ultimi anni m'inchioda sulla soglia con lo sguardo degli occhi dolci e tirannici insieme, ardenti del magnetico riflesso di tutta l'opera sua, che li fa giovani di giovinezza eterna (...).
Vorrei fosse rimasta la cucina patriarcale di allora: con la madia, la rocca materna, il pancone e la catena per il paiolo al camino, il secchio lucido e il ramaiolo per la sete comune.
Ma perchè? A quale scopo? Francesca Cabrini non rimpianse mai la casa lasciata per obbedire al richidamo di Dio (...).
Le tappe del cammino - quali tappe! - hanno la loro piena illustrazione documentaria nelle due stanze attigue terrene. Doppie file di fotografie degli istituti d'assistenza e d'educazione creati da Madre Cabrini in tre continenti coprono le pareti della saletta che guarda il giardino. Il mondo, in esse, veramente si manifesta sotto la specie dell'amore cristiano.
A leggere i titoli e le indicazioni sottoposte ai quadri, a pensare che quegli ospedali, quegli asili quegli orfanotrofi dall'aspetto di regge favolosamente moderne furono dal primo all'ultimo sognati, eretti e diretti da una povera suora italiana in apparenza fragile come vetro, in sostanza morale dura come la selce, sempre febbricitante e sempre in piedi o in viaggio, con la vita sospesa ad un filo e, nelle mani, innumerevoli; fila che ella sola sapeva condurre, vengono le vertigini (...).
Mi tremano un po' le ginocchia, salendo la ripida scala di pietra che conduce al piano superiore. Mi sembra di non aver più nulla da vedere. dopo ciò che ho veduto e sentito. Ma è proprio quassù che la Madre mi aspetta a colloquio. Non la ritrovo nel busto in bronzo posto su un alto zoccolo nella sala che sovrasta alla stanza d'ingresso.
La ritrovo piuttosto in una cassetta di legno, scomoda, d'antica forma, nella quale, in giovinezza. ella custodiva i suoi libri più cari; e nel lettuccio di ferro, smaltato di bianco, con la coperta bianca, dove riposò durante le rade soste alla sede dell'Ordine in Milano (...).
M'affaccio a una delle finestre verso il giardino. Pochi pinastri, una magnolia stenta, qualche aiuola che attende di fiorire, una vasca nel mezzo: in fondo, un'imitazione ella grotta di Lourdes.
Tutto mutato, dai giorni della presenza di Francesca.
Non v'era allora giardino. V'erano il cortile rustico e l'aia: il fienile che di là da un muretto si scorge stava unito alla casa, con rozzi fabbricati annessi alla campagna schietta.
Vedo sull'aia, gialla di sole estivo e di spighe mature, lo stormo candido delle colombe annunziatrici e il loro librarsi nell'aria, mentre dall'interno della casetta si leva il primo gemito della bimba nata troppo presto che nella vita avrebbe sempre obbedito e fatto obbedire al comando (...).
Ella seppe dare ali alla terra. E questa bassa pianura lodigiana che guardo oggi vivere nel presentimento della primavera, sembra manifestare in ogni atomo un'inquietudine di volo, nell'allegrezza d'aver dato i natali alla Beata. Dono di grazia, essere la sua terra d 'origine: tutta ormai a sua somiglianza, per il miracolo di trasfigurazione che solo avviene nei luoghi dove nascono i santi.»
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